
Monte Lavane, capanna del partigiano
Il 17 luglio del ’44 Adriano Casadei, assieme una squadra scelta della Banda Corbari, organizzò un recupero di armi aviolanciate dagli Alleati sul Monte Lavane. I partigiani si recarono a ispezionare la zona, prepararono i segnali luminosi e attesero l’aereo che, alle 22, sorvoló l’altopiano e sganciò i paracadute. Le casse contenevano 4 mitragliatrici Breda, 90 mitra Sten, moltissime bombe a mano e 8 quintali di dinamite, assieme a divise, sigarette e generi alimentari. A ogni partigiano toccò un’arma automatica e subito iniziò la raccolta e il trasporto del materiale, coscienti del fatto che fascisti e tedeschi sarebbero giunti da lì a poco. La dinamite fu accatastata nella capanna di un pastore, oggi ricostruita come piccolo bivacco. Intanto, dalla valle, iniziò il rastrellamento dei nazi-fascisti, con lo scopo di accerchiare i partigiani e impedire le operazioni di recupero. Si dice 500 militi, saliti da tre direzioni diverse, che vennero a contatto ravvicinato con Casadei e i suoi pochi uomini.
Il combattimento fu violentissimo e durò un giorno intero, con feriti da ambo le parti. Verso le 17 Casadei dette ordine a un primo gruppo di arretrare, seguito poco dopo da a un altro. Restarono i più giovani, mossi da quell’incoscienza ribelle che li spingeva a sparare senza paura sul nemico, favorendo lo sganciamento dei compagni. Quando i fascisti furono a pochi metri, Casadei e i pochi rimasti prepararono una miccia e si gettarono lungo la scarpata retrostante, facendo saltare la capanna con tutto l’esplosivo. Il boato scosse l’altopiano, tanto che i militi si ritirarono sorpresi da tanta potenza di fuoco. Qualche giorno dopo, Casadei e il giovane partigiano Giammarchi tornarono sul posto per cercare le armi e le munizioni nascoste e gettate nei boschi prima di allontanarsi. Tutto fu caricato su 5 muli e portato alla base di San Valentino, sui monti tra Tredozio e Modigliana. L’episodio entrò nella storia come una della azioni militari più audaci della Banda Corbari.