
Il 10 dicembre ’44 Forlì era già libera da un mese. Dopo aver spinto i tedeschi oltre il fiume Montone, i gappisti hanno atteso l’ingresso in città degli Alleati, con un reparto scozzese in prima fila. L’illusione della pace viene interrotta dal passaggio di due aerei tedeschi, che sganciano sulla città bombe ad alto potenziale, capaci di esplodere poco prima dell’impatto al suolo, sbriciolando gli edifici senza creare crateri. Sono bombe nuove, mai viste, che vengono testate per la prima volta proprio qui. Gli obiettivi sono la ghiacciaia Monti, deposito logistico dell’esercito britannico vicino alla chiesa di San Biagio, e il palazzo della famiglia Merenda, in corso Diaz, quartier generale Alleato. Il primo ordigno sbaglia e colpisce la chiesa quattrocentesca polverizzando le opere di Melozzo e Palmezzano, portandosi via 20 vite umane. La seconda va a segno e travolge decine di inglesi e una famiglia romagnola. Oggi si nota ancora la discrepanza tra i palazzi storici di corso Diaz e gli edifici “nuovi” che hanno riempito i vuoti dovuti all’esplosione. Uno di questi è il teatro Diego Fabbri, che qualche vecchio forlivese chiama ancora Astra, dal nome del cinema inaugurato nel ’47. Di San Biagio si è salvato il sepolcro di Barbara Manfredi, moglie di Pio III Ordelaffi, ma il naso si è staccato e perso tra le rovine. Lo studioso Pietro Reggiani lo ritrova dopo alcuni giorni sotto le macerie, spostando ogni centimetro di polvere con un bastone da passeggio.