Il 24 marzo 1944, mentre a Roma si consumava l’eccidio delle Fosse Ardeatine, a Forlì cinque ragazzi venivano fucilati nel cortile della caserma “Ettore Muti” perché renitenti alla leva. Il lunedì seguente, sotto indicazione dei comitati clandestini di fabbrica, le operaie e gli operai delle industrie fermarono la produzione. La protesta prese forza guidata dalle donne, che contro le legge imposte dal regime si radunarono pubblicamente e in corteo raggiunsero la caserma. L’obiettivo era opporsi alla condanna a morte inflitta ad altri nove giovani. La gente affollava via della Ripa, via Giovane Italia, la piazzetta della Chiesa della Trinità fino a via Maroncelli.

Pressati dalle popolane di Borgo Schiavonia, i militi fascisti furono presi dal panico e spararono ferendo una manifestante, ma la folla non indietreggiò e aumentò la protesta nel tentativo di occupare la caserma. Si gridava “Liberate i nostri figli! Assassini! Servi dei tedeschi!” Sorpreso da tanta determinazione, il Tribunale militare sospese la sentenza e il corteo si spostò verso la prefettura, dove una delegazione di donne fu ricevuta e fece tramutare la fucilazione in carcere.

Le fabbriche cittadine intanto prolungarono lo sciopero fino al 28 marzo e la notizia si spinse fino alle città vicine. Così scrissero le operaie della fabbrica Arrigoni di Cesena sul numero di luglio di ‘Noi Donne’: “Carissime compagne di Forlì, noi donne di Cesena vi assicuriamo che l’esempio da voi datoci sarà seguito, le esortazioni e i consigli ascoltati. Faremo tutto il possibile per imitarvi, e benché giunte tardi, vi assicuriamo che sapremo riguadagnare il tempo perduto. La via che ci additate è bella e luminosa.”