
Augusto Masetti e Antonio Moroni sono due militari di leva. Il primo è chiuso in manicomio per aver sparato a un colonnello, il secondo spedito in una compagnia di disciplina in quanto socialista rivoluzionario. A favore della loro liberazione si allunga per le strade di Ancona un corteo antimilitarista. La polizia non lo contiene e spara uccidendo tre dimostranti. Siamo nel giugno 1914 e invece di placarsi, i disordini esplodono violentissimi anche fuori regione.

L’anarchico Malatesta scriverà «Non sappiamo se vinceremo, ma è certo che la rivoluzione è scoppiata e va propagandosi. La Romagna è in fiamme.» Ad Alfonsine e in tutta “la bassa” i palazzi comunali vengono incendiati e sulle piazze si alzano gli alberi della libertà. A Imola, Rimini e Faenza i binari dei treni vengono divelti, a Cesena le fiamme avvolgono le porte delle chiese. A Ravenna muore il commissario di pubblica sicurezza e le statue della Madonna vengono decapitate.


A Forlì è sciopero generale: chiudono botteghe, osterie, uffici, tabacchi. I gasisti lasciano spenti i lampioni e la città resta al buio e isolata. Scrive il conte Guarini «Una turba di forsennati, approfittando del buio, appicca fuoco alla chiesa di San Mercuriale. I pompieri impediscono al fuoco di estendersi, non senza che la plebaglia fischiasse e tirasse sassi. Biciclette e automobili con bandiere rosse girano per portare notizie e fanno capo alla nuova camera del lavoro che sembra governi Forlì.» I giorni di fuoco si spengono in fretta, ma entrano nella storia come ‘settimana rossa’, forse l’ultimo esempio di insurrezione esplosa con caratteri rivoluzionari.
